ELEZIONI 2013. La scuola nell’Offerta Politica. Dov’è la centralità?

10.01.2013 13:39
di Anna Maria Bellesia (Tecnica della Scuola)
01/01/2013

 

A sentirli parlare, i politici, dicono tutti che la scuola è “centrale”. Ma della scuola “reale” poco si parla e poco si scrive. Ecco le proposte contenute nell’attuale Offerta Politica e le domande finora senza risposta.
Era salita agli onori della cronaca nazionale al tempo dello scontro sulle 24 ore. Aveva fatto capolino nel match televisivo Bersani-Renzi. Aveva indispettito Monti, che contava di prelevare quei 700 milioni di euro dal lavoro supplementare gratuito dei docenti per risanare i conti pubblici. Poi la Scuola è scomparsa dal dibattito politico. Tutti ne proclamano la “centralità”. Ma nessuno entra nel merito, se non per scandire qualche slogan, spesso un po’ vecchiotto.
C’è da scommettere però che il milione di lavoratori del settore, docenti in particolare, reduci dalle batoste degli ultimi anni, nella veste di elettori staranno ben attenti sul dove mettere la crocetta. Troppe le promesse di “valorizzazione” finite nel bidone.
L’attuale Offerta Politica sembra confezionata su misura di elettore, specialmente quello incerto. Riguardo all’Istruzione, “rilanciare” ed “investire” sono le parole magiche. Qualità, efficienza, valutazione e merito sono le tematiche più trendy, a cui si aggiungono produttività e flessibilità. Si glissa invece sulle risorse. Logoro appare ormai il discorso della scuola più “moderna ed europea”.
 
COSA CI CHIEDE E NON CI CHIEDE L’EUROPA
Forse vale la pena di ricordare cosa ci chiede davvero l’Europa. Le priorità strategiche sono delineate nella comunicazione della Commissione europea “Ripensare l'istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici” del 20/11/2012. In sintesi:
 
– Investire nell'istruzione e nella formazione per sviluppare le abilità necessarie alla crescita e alla competitività.
– Non ridurre la spesa, ma spendere meglio, in maniera più mirata ed efficiente, anche mettendo a punto dei modelli di partenariato e di partecipazione ai costi (per esempio, coinvolgendo le imprese nel settore tecnico professionale).
– Sviluppare una Istruzione e Formazione Professionale di eccellenza, in particolare i sistemi di formazione duale per agevolare l'occupazione giovanile.
– Valutare e certificare i “risultati di apprendimento” per sostenere la mobilità.
– Conoscere più lingue (lingua materna più altre due lingue)
– Sfruttare al meglio il potenziale delle Tic, per rendere più efficace l'apprendimento e ridurre le barriere all'istruzione, in particolare quelle d'ordine sociale.
– Rivedere e rafforzare il profilo di tutte le professioni dell’insegnamento: insegnanti di ogni livello, dirigenti scolastici e formatori degli insegnanti.
– Dare un deciso sostegno allo sviluppo professionale continuo degli insegnanti.
 
Quello che non ci chiede l’Europa è di ridurre di un anno il percorso degli studi. I 27 Paesi Ue si dividono infatti abbastanza equamente tra quelli che terminano il percorso scolastico a 18 anni (13 Paesi, tra cui Spagna e Francia) e quelli che lo terminano a 19 anni (15 Stati, tra cui Italia, Germania, Danimarca). Finlandia e Romania offrono due opzioni, dipende se si continua il ciclo di studi.
 
L’ATTUALE OFFERTA POLITICA PER LA SCUOLA
Il primo a rilanciare “Una scuola dove si impara davvero” è stato Matteo Renzi. Il suo programma fa leva su merito e valutazione, sia per le scuole sia per i docenti, secondo un modello che alla fine risulta molto simile a quello da anni proposto da Valentina Aprea del Pdl: “Gli istituti scolastici devono godere di un'ampia autonomia, anche riguardo alla selezione del personale didattico e amministrativo, con una piena responsabilizzazione dei rispettivi vertici e il corrispondente pieno recupero da parte loro delle prerogative programmatorie e dirigenziali necessarie”. Altri punti riguardano la valutazione degli istituti scolastici attraverso il completamento del nuovo Sistema di Valutazione, centrato sull’azione di Invalsi e Indire, e la valutazione e incentivazione degli insegnanti, attivando in ciascun istituto scolastico un meccanismo finalizzato all’attribuzione di un premio economico annuale ai migliori. Un programma che rileggiamo quasi identico nell’Agenda Monti. C’è chi dice infatti che abbiano in comune lo stesso maître à penser ed estensore del testo.
Quanto a Pier Luigi Bersani, a parole si è dimostrato sensibile al tema di ridare dignità alla scuola e a chi ci lavora. “La riforma -ha detto- deve partire dalla considerazione del ruolo, della dignità, dell’importanza degli insegnanti”, ma ha aggiunto anche: “miracoli non ne prometto ma mi impegno”.
Nell’intervento del 30/11/2012 “Non c’è democrazia senza istruzione”, reperibile in vari siti internet, Bersani aveva rilanciato le proposte “storiche” del Pd: dall’organico funzionale (senza dire però con quali risorse), al tempo pieno e modulo di 30 ore con le compresenze nella primaria, alla lotta alla dispersione scolastica, al piano straordinario per l'edilizia scolastica. Senza trascurare il rilancio dell’istruzione e formazione tecnica e professionale, per finire con le “Scuole aperte tutto il giorno”, una idea molto simile al centro civico e ludico di Profumo, anche qui senza specificare con che mezzi. Avendo ricevuto più critiche che consensi, il leader del Pd attualmente ha scelto alla voce “Sapere”una proposta molto più generica, limitandosi all’enunciazione di principio che è necessario “avviare un’opera di ricostruzione vera e propria”. “Garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi”. Seguono altre vaghe indicazioni circa l’impegno per un piano straordinario contro la dispersione scolastica, misure operative per il diritto allo studio e un investimento sulla ricerca.
Anche il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo dedica alla Scuola una pagina in 13 punti del suo programma politico. Si va dall’abolizione della legge Gelmini ad un grande impulso alla diffusione di internet nelle scuole, all’insegnamento obbligatorio della lingua inglese fin dall'asilo, all’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Altri punti riguardano l’università: valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti, investimenti nella ricerca, integrazione università/aziende, sviluppo di strutture di accoglienza per gli studenti. È detto papale papale che le risorse finanziarie dello Stato saranno erogate solo alla scuola pubblica.
Nel sito di Sel di Nichi Vendola, troviamo un corposo “Quaderno di scuola” di 102 pagine, che comprendono università e ricerca, scuola, politiche giovanili. Per la scuola, viene presentata “una proposta di revisione complessiva”, pur nella consapevolezza che servono ulteriori riflessioni aperte al personale e alla società. In sintesi, viene proposto un percorso scolastico dai 5 ai 18 anni, con un primo ciclo di sette anni e un secondo ciclo di cinque anni, con progressivo innalzamento dell’obbligo di istruzione a 18 anni. Qualunque percorso di formazione professionale deve essere spostato successivamente alla frequenza del percorso di istruzione obbligatoria e va eliminata la possibilità di espletare l’ultimo anno dell’obbligo nell’apprendistato. Una proposta questa che appare in controtendenza sia rispetto a quanto è stato fatto finora, da Fioroni in poi, sia alle linee strategiche della Ue.
Anche Italia Futura di Montezemolo ha annunciato di voler “rimettere la Scuola al primo posto”. Intanto, il 24 dicembre, è stata pubblicata l’Agenda di Mario Monti. “Bisogna prendere l’istruzione sul serio”, così si intitola il relativo paragrafo, che enuncia obiettivi in linea con la strategia di Lisbona 2020. Inoltre, bisogna “investire in capitale umano”, puntando su autonomia e responsabilità come principi fondanti per un nuovo modello organizzativo, completare e rafforzare il sistema di valutazione centrato su Invalsi e Indire, inserire con gradualità meccanismi di incentivazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, attraverso un premio economico annuale agli insegnanti che hanno raggiunto i migliori risultati.
Questo aspetto in particolare rappresenta una novità (nello schema di Regolamento del Sistema nazionale di valutazione, approvato dal Consiglio dei ministri del 24 agosto scorso, non se ne parla), o meglio un ritorno al passato di Gelmini-Brunetta, quand’era in voga parlare di performance e premialità selettiva. “Il merito e la produttività dovranno essere gli elementi essenziali per la valutazione del lavoro svolto da tutti i dipendenti pubblici e per la parametrazione delle pubbliche retribuzioni”, così sta scritto in un altro punto dell’Agenda.
Monti è molto prudente sul dove trovare le risorse da investire: “Man mano che si riduce il costo del debito pubblico e si eliminano spese inutili, possiamo creare nuovi spazi per investimenti nell’istruzione”.
E come la mettiamo con le pensioni? Gli insegnanti italiani sono fra i più vecchi d’Europa e la riforma li porta a 67 anni, in condizioni lavorative che non sono più quelle di una volta. Secondo Monti “la riforma delle pensioni ha dato al Paese il sistema più sostenibile e avanzato in Europa”. Nessuna marcia indietro. Al massimo, “dovrebbero” essere consolidate delle misure per l’“invecchiamento attivo” e soprattutto i lavoratori saranno invitati a “meglio pianificare il loro futuro e i loro risparmi attraverso la previdenza complementare”.
 
DOMANDE IN CERCA DI RISPOSTA
Per i soggetti politici che volessero misurarsi con la scuola “reale” per rendere davvero “centrale” istruzione, formazione, educazione, suggeriamo alcune domande:
 
1) Quale scuola vogliamo per le nuove generazioni?
2) Come tornare ad investire sulla scuola, per renderla al passo con le sfide del XXI secolo, e dove reperire le risorse?
3) Quale docente? Quali competenze, percorso di formazione, percorso di carriera? Quale stato giuridico? Quale riconoscimento economico? Quale rivalutazione sociale?
4) Come reclutare personale docente giovane ed assicurare il necessario ricambio generazionale?
5) Come assorbire il precariato che logora metà vita professionale dell’aspirante docente?
6) Come gestire il Sistema nazionale di valutazione?
7) Quali proposte per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche?
8) A chi giova l’eventuale riduzione di un anno del percorso di studio e diplomare i 18enni?
9) Come si colloca la scuola paritaria rispetto ai finanziamenti pubblici?
10) Come affrontare il problema dell’eccessivo innalzamento dell’età pensionabile rispetto all’esigenza di rinnovamento e al lavoro stesso?