Sulle 24 ore

12.12.2012 11:11

Sembra dimenticare alcune cose Mario Monti quando si lascia andare a spericolate affermazioni sul “corporativismo conservatore” dei docenti, i quali respingendo l’ipotesi di lavorare “2 ore in più” (sic) a settimana, impedirebbero di liberare risorse per il miglioramento dell’offerta formativa.

 

A parte l’ovvia osservazione che 6 ore non sono 2 e che l’incapacità di svolgere un così elementare ragionamento aritmetico da parte del principale responsabile  dei conti pubblici risulta quanto meno preoccupante, è necessario osservare che il miglioramento dell’offerta formativa è destinato a fondi specifici che il Governo si appresta a tagliare per parecchie decine di milioni.

 

Che si ottenga un miglioramento dell’offerta formativa elevando il  numero di allievi per singolo docente per effetto dell’innalzamento delle ore di lezione lo può sostenere solo chi non ha la benché minima idea cosa sia l’insegnamento.

 

La modernità a cui si oppone la “casta conservatrice” dei lavoratori della scuola è rappresentata, nel Monti-pensiero, dalla rinuncia ai diritti contrattuali liberamente sottoscritti da Governo e parti sociali. Qual è il valore di una contrattazione se uno dei due sottoscrittori, dal giorno successivo all’accordo, può farne disinvoltamente carta straccia? Quando viene violato il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini-lavoratori è così stupefacente la reazione furiosa di questi ultimi?

Con queste premesse non si capisce di che vada cianciando il ministro Profumo quando, intervistato da Rai News 24, parla di “grande opportunità nel rinnovo del contratto nel 2014, perchè si possa discutere di un nuovo ruolo del docente”.

 

Dimentica anche, il premier, che con stessa legge di stabilità, da cui con suo cruccio è stato stralciato il tema dell’aumento dell’orario di lavoro, un certo “contributo di sangue” i docenti, in particolare i precari, lo stanno dando. Eccome.

 

Con il testo approvato con la fiducia alla Camera lo scorso 22 novembre e oggi all’esame del Senato, rientra dalla finestra ciò che sembrava uscito dalla porta, ovvero i commi relativi alla monetizzazione delle ferie non godute.

La vicenda è lunga ed estenuante e ha il suo inizio nel DL 95 del 6 luglio 2012 con il quale viene abolita la possibilità per i dipendenti pubblici di vedersi liquidate economicamente le ferie non godute (art. 5 comma 8).

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Emerge subito l’incongruenza del provvedimento nell’ambito dei contratti di supplenza breve e saltuaria e fino al termine delle attività didattiche. Impossibile in questi casi fruire delle ferie nel corso dell’a.s.; impossibile anche fruirne nei mesi estivi, come nel caso dei docenti di ruolo, visto che al termine delle attività didattiche sopraggiunge il licenziamento.

 

Dopo una serie di esasperanti rimpalli era sembrato che si potesse giungere a una conclusione di buon senso: oltre a rivedere l’assurda pretesa di applicare retroattivamente la norma, il Governo sembrava prendere atto che la peculiarità del lavoro dell’insegnamento imponeva la necessità di una deroga alla norma.

 

Si è trattato di un illusione: il Governo timido con i corrotti avanza come uno schiacciasassi nei confronti dei lavoratori, in particolare di quelli meno protetti: con un escamotage – nuovamente in deroga al CCNL – diviene obbligatorio fruire delle ferie durante il periodo di interruzione delle lezioni (ovvero vacanze natalizie, pasquali, ponti, sospensione di giugno). Solo in via residuale verranno pagati i giorni che, eventualmente, non sarà stato possibile fruire. Cioè, nella maggior parte dei casi, nessuno.

Un risparmio non eccezionale per lo Stato (circa 130 milioni di euro per quanto riguarda i supplenti fino al termine delle attività didattiche) , ma un salasso per chi, con uno stipendio annuale netto pari al compenso mensile di un parlamentare, subirà una decurtazione economica che si aggira intorno al 10% della paga annua. Una risorsa che serviva a compensare in parte i mancati guadagni dei mesi di disoccupazione estiva.

A parte il solito, odioso, infierire sulla parte più debole della categoria, in spregio, - non lo si ripeterà mai abbastanza-  delle norme liberamente sottoscritte dal Governo,  emerge una concezione impiegatizia del ruolo docente. Forse durante la sospensione delle lezioni un docente smette di studiare, programmare, correggere, redarre relazioni in funzione della valutazione? “Sospende”, insomma, la sua attività didattica dedicandosi allegramente alla villeggiatura, come vuole far credere all’opinione pubblica una certa tendenziosa vulgata governativa?

 

Scriviamolo ai parlamentari che hanno votato e che voteranno questo furto, diciamolo ai partiti che ci verranno a chiedere il voto, pretendiamolo dai sindacati che non sono stati delegati a svendere i nostri diritti:

 

  • è ora che per risanare il bilancio statale si vada a pescare nelle tasche di chi ha di più.

 

  • il Contratto Nazionale è un accordo sottoscritto liberamente da due parti, è un patto tra cittadino-lavoratore e Stato e  stabilisce diritti e doveri dei due contraenti: è intollerabile che venga continuamente ignorato, calpestato, scavalcando qualsiasi confronto con i rappresentanti dei lavoratori.

 

 

  • i sindacati non hanno una delega in bianco da parte dei lavoratori: qualora, come è più volte successo, si sottoscrivano delle deroghe al contratto, queste vanno sottoposte a referendum.

 

  • La professionalità docente va riconosciuta per quello che rappresenta: un complesso di attività di cui le ore di lezione rappresentano solo la punta dell’iceberg. Non è più tollerabile l’attacco volgare alla nostra dignità professionale. Il lavoro sommerso deve essere portato alla luce, anche attraverso una sua definizione contrattuale.

 

Gianluca Galati, Coordinamento precari FLC CGIL Milano